Epomeo: cuore pulsante dell'isola
di Pasquale Balestriere
Guadagnare
la vetta dell'Epomeo, a piedi o più comodamente a
dorso di mulo, consente al turista non solo di gioire di un panorama
talmente straordinario da strappare esclamazioni di vera e profonda
meraviglia, ma di vivere altresì un'avventura ben al di là
di ogni limite fisico e naturale.
L'Epomeo è avventura per la selvaggia bellezza del paesaggio
che lo circonda, per il vasto silenzio, per i freschi sentori e
i dolci profumi mediterranei di cui è intriso, per l'incomparabile
visione che da esso si gode e che accomuna coste, isole, mare, cielo
e monti partenopei, anzi campani e laziali; ma più ancora
è avventura - l'Epomeo - perché è un
eremo (una volta abitato da frati), e come tale ancora pervaso di
spiritualità e misticismo quasi palpabili nelle celle e nella
chiesetta scavate nel tufo, splendido esempio di architettura rupestre
isolana. Qui l'anima si piega su sé stessa, assorta nella
meditazione; qui, lontano dai rumori del mondo, ognuno può
recuperare una dimensione più intima, assaporare una pace
più autentica, riflettere sulla caducità delle cose,
"sentire" l'infinito, in uno stato d'animo che trascende
ogni fisicità.
L'Epomeo, denominato anche Monte Forte nel '700 e
dal popolo sempre San Nicola, è il rilievo più
importante dell'isola. Furono contadini, probabilmente, quelli che
in tempi antichi cominciarono a scavare nella roccia, a colpi di
piccone, grotte o ripari per difendersi da pioggia e freddo: tali
anfratti vennero ampliati e rifiniti nel corso del tempo, ricavandosi
dalla massa tufacea cunicoli, gallerie e cellette, e la chiesetta
dedicata a San Nicola di Bari. Il culto di questo santo fu introdotto
forse nel '500 all'epoca delle scorrerie piratesche (Ariadeno Barbarossa,
Dragut e altri), se non addirittura verso la metà del '400.
Venne poi il periodo degli eremiti.
Ma il momento di massimo splendore fu raggiunto dall'eremo al tempo
del suo frate più famoso, il fiammingo Giuseppe d'Argout.
Questi, avendo intorno al 1753 rinunciato, per voto, alla carica
di Governatore del Castello d'Ischia, si ridusse a vivere da anacoreta
sul nostro monte insieme con dodici compagni: munifico, dotò
l'eremitaggio di beni, in particolare terreni, allo scopo di garantire
ai confratelli una tranquilla sussistenza, anche dopo la sua morte.
Ora essi, nella quasi totalità, riposano nella pace della
solitaria chiesetta.
Sulle verdeggianti pendici dell'Epomeo, in grotte, forre
e dirupi, si rifugiavano gli abitanti dei dintorni al tempo delle
invasioni e in caso di pericolo; lì, in fosse profonde si
ammassava neve d'inverno per trarne ghiaccio d'estate, quando questo
non era ancora prodotto artificialmente, allo scopo di mitigare
l'arsura della sete e del solleone; sulla cima del monte si accendevano
i fuochi per segnalare l'avvicinarsi di navi nemiche o, più
genericamente, situazioni di rischio e di minaccia per gli isolani.
Il turista che sale sull'Epomeo incontra lungo il percorso e sulla
cima diversi caratteristici punti di ristoro, e può gustare,
volendo, tipici piatti locali. La strada, partendo da Fontana, è
asfaltata e di facile percorso, benché piuttosto erta; nella
parte più elevata diventa una mulattiera, ma sufficientemente
comoda. Chi può è bene che faccia a piedi l'intero
tragitto: ne trarrà grande giovamento fisico, mentale e spirituale.
È necessario infine aggiungere che dell'Epomeo, cuore pulsante
dell'isola, ha scritto con passione, competenza e ricchezza d'informazione
un illustre figlio del comune di Serrara Fontana: Enrico Jacono, L'Epomeo, Firenze 1952.