Rediscovering Pompei 1
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In mostra a New York circa 200 reperti provenienti
da Pompei, Ercolano, Oplonti, Stabia, Terzigno, Boscoreale
di Carmine Negro
(1)
A pochi passi dalla Fifth Avenue, la strada più famosa
di New York, all'incrocio tra la Madison Avenue e la 56th Street,
nel sotterraneo del nuovo grattacielo della IBM, c'è uno degli
spazi espositivi più belli della città: la IBM Gallery
of Science and Art. Inaugurata nel 1984, in un periodo relativamente
breve si è guadagnata un'ottima fama grazie alle sue eccellenti
mostre itineranti di arte antica e moderna, di fotografie e di arte
popolare. Ora ospita questa mostra che, accanto ad una larga selezione
di opere, circa 200, presentanti uno spaccato dell'arte, della vita
quotidiana, dello "Instrumentum domesticum", nelle città
campane del I secolo d. C., ha tutta una serie di attrezzature informatiche
che consentono al visitatore di stabilire, attraverso i dati emersi
dalle scoperte archeologiche, un contatto ed un dialogo con l'uomo
di 2000 anni fa.
Su un grande schermo le immagini di eruzioni vulcaniche,
accompagnate dal rumore delle esplosioni, simulano gli avvenimenti
della mattina del 24 agosto del 79 d. C., quando un tremendo boato
squassò la regione vesuviana. Dalla bocca del vulcano, rimasta
silenziosa per moltissimi anni, una colonna di gas e materiali eruttivi
si proiettò in alto con incredibile violenza per migliaia di
metri oscurando in breve tempo tutto il cielo circostante. Un rovescio
di lapilli si abbatté su Pompei e sull'area limitrofa, sommergendola
per due metri e mezzo e oltre. Violente scosse di terremoto agitavano
il suolo, mentre una gigantesca nube carica di cenere e gas venefici
cingeva in un abbraccio mortale la città. Esaurita la forza
esplosiva, una colata di magma e lava incandescente si rivolse in
direzione di Ercolano sommergendola per uno spessore che, in prossimità
del litorale, raggiunse i 22 metri. Alcuni Pompeiani preferirono rifugiarsi
nel chiuso delle case, nelle cantine, nei criptoportici attendendo
che terminasse la pioggia di lapilli, altri invece cercarono scampo
nella fuga. Molti cercarono di salvare i loro beni, ammassando e nascondendo
gli oggetti di valore e prendendo addosso denaro e preziosi, ma, schiacciati
dal crollo dei tetti delle proprie case o asfissiati dai gas tossici
che li faceva stramazzare al suolo e ricoprire di finissima e impalpabile
cenere che aderiva alle forme del corpo ed alle pieghe delle vesti,
l amaggior parte non riuscì a eludere il proprio destino.
Ad Ercolano quanti non si erano ancora dati alla fuga ed erano quindi
preda dell'avanzare della lava, dirigendosi verso il litorale, riposero
nel mare le proprie speranze di salvezza. Un violento maremoto che
faceva paurosamente sollevare la terra e ritirare l'acqua per poi
all'improvviso farla riavanzare con tumultuose ondate, impedì
alle navi di prendere il largo ed ai soccorsi di approdare decretando
così per gli sventurati una tragica morte tra il fuoco della
massa lavica che veniva dal monte e l'acqua del mare, impetuosa e
abissale.
Su una parete grigia, all'interno della mostra, illuminata da un debole
fascio di luce, la testimonianza di un cronista d'eccezione: Plinio
il Giovane, che, trovandosi a Miseno, dove lo zio Plinio il Vecchio
era comandante della flotta romana del Tirreno, assistette a quegli
avvenimenti. Il brano è preso da una delle due lettere che
egli inviò allo storico Tacito; le lettere raccontano le varie
fasi dell'evento eruttivo, del panico degli abitanti che cercarono
disperatamente di sottrarsi alla furia degli elementi, della morte
dello zio che, approntata una flotta per portare soccorso, rimase
egli pure vittima delle esalazioni di gas sul litorale di Stabia dove
si era riparato.
Nel giro di due giorni si compì il tragico destino di questa
celebre regione; seppellite le città, scomparse le strade,
ricoperti i campi, uno spettacolo desolante dovette presentarsi ai
superstiti della catastrofe. Due pannelli, con sopra stratificati
a vari livelli lapilli e ceneri, rappresentano simbolicamente lo spessore
di materia che imprigionò, custodendoli, il destino delle cose
e i sogni degli uomini.
In un ambiente a luce debole e soffusa, una botola scavata nel pavimento,
fortemente illuminata, attrae l'attenzione. In essa, su dei sassi,
il calco di una giovane donna trovata nella villa che fu, probabilmente,
di L. Crassus Tertius ad Oplontis (attuale Torre Annunziata); la semitrasparenza
della resina epossidica, che lascia intravvedere il teschio e le ossa,
ne amplifica la drammaticità. Si tratta di una tecnica applicata
per la prima volta ad Oplontis nel 1984, che al gesso, materiale utilizzato
dal Fiorelli che introdusse il sistema dei calchi fin dal 1863, sostituisce
una resina sintetica. Questa tecnica ideata dal restauratore Amedeo
Cicchitti consiste nel realizzare prima un calco in cera, intorno
al quale si costruisce una matrice in gesso; quindi con una tecnica
simile a quella della "cera perduta" si sostituisce la cerca
con la resina. Si ottiene così un calco più resistente
agli urti ed alle variazioni climatiche, ma, soprattutto, un calco
che, grazie alla semitrasparenza, consente di vedere i piccoli oggetti
che la persona indossava. Nel caso della fanciulla è stato
possibile recuperare, sostituendoli con copie, il bracciale che aveva
al braccio, il borsellino con monete, anelli e gemme che erano accanto
alla mano.
Un altro oggetto che ritroviamo in questa prima parte dell'esposizione
è una macina per olive (Trapetum) in pietra lavica, costituita
da un elemento circolare fisso di forma troncoconica scavato all'interno
e da un elemento mobile costituito da due ruote a forma di calotta
che giravano nella cavità dell'elemento fisso. L amacina azionata
da schiavi o da asini era impiegata nel processo di produzione dell'olio.
Il percorso della mostra si snoda attraverso grossi contenitori di
vetro che consentono ai numerosi visitatori di osservare con meraviglia
e attenzione i reperti esposti, ognuno contraddistinto da un numero,
che si ritrova, poi, accanto al nome dell'oggetto in sovrimpressione
sul vetro esterno. Sono questi reperti, muti testimoni del passato,
ad introdurre nelle tradizioni e nella vita di tutti i giorni di 2000
anni fa.
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