La storia attraverso le attività
produttive *
di Carmine Negro
Nelle sue famose Storie delle guerre persiane,
Erodoto raccontò una lotta per il predominio del mondo antico
che durò quasi cento anni, dal 546 al 448 a. C. circa. Dalle
sue pagine emerge gradualmente un ritratto dell’identità
greca e di quella barbara, dal momento che non può esistere
un noi senza che esista un loro.
Non c’è da meravigliarsi, quindi, che Cicerone chiamasse
Erodoto il padre della storia, visto che, quando si interessano sia
al passato recente sia a quello più remoto, gli storici inevitabilmente
devono affrontare il problema dell’identità, sicché
il loro ruolo e il loro punto di vista possono essere definiti nei
termini di tale questione (1).
Fernand Braudel per comprendere, sul piano terrestre
e marittimo, i caratteri generali del Mediterraneo, questa entità
fisica e geologica che trascende le frontiere nazionali, religiose
e linguistiche, per captare nelle loro variazioni spazio-temporali
i differenti aspetti dell’attività umana in quest’area,
elaborò un metodo globale di investigazione da potersi applicare
a tutta la regione. Operò una famosa divisione della storia
su tre piani differenti: una storia che è virtualmente immodificabile,
silenziosa, minerale, che misura i rapporti dell’uomo con il
suo ambiente naturale; una storia sociale che si riferisce alla vita
dei gruppi economici, alle società rurali e urbane, aglistati
nazionali; e una storia che narra il clamore degli avvenimenti passeggeri
che increspano la superficie delle cose. Braudel aggiunse all’equipaggiamento
dello storico delle tecniche di ricerca molto sofisticate, improntate
alle scienze umane. “La storia stessa - ammise - mi appassiona
meno di questo corteo associato di scienze umane... La storia stessa,
per essere valida, deve essere incorporata... nelle scienze umane
e queste dovrebbero prendere in considerazione la dimensione storica”
(2).
“Non amo la storia, non mi piace ricordare
le date” - “La storia? È odiosa! È un susseguirsi
di guerre che non finiscono mai. La storia per me è un continuo
ripetersi di dominatori e dominati”.
Quelle riportate sono alcune delle risposte che ascoltiamo quando
parliamo di storia. Spesso questa disciplina non è amata dagli
studenti, perché ridotta ad un quiz in cui il risultato finale
è il voto. Quante persone continuerebbero a studiarla sui nostri
libri senza l’obbligo della verifica scolastica? I nostri libri
sono scritti in genere per rendere poco piacevole lo studio del passato.
Eppure a chi non farebbe piacere sapere, almeno come primo approccio,
come misuravano i chilometri o le miglia i pompeiani, quando dovevano
usufruire di un mezzo di trasporto come il carro, o quali profumi
usavano, o come facevano a costruire le loro case, come tessevano
i tessuti o preparavano il garum che esportavano in tutto il Mediterraneo.
Allora ci domandiamo: perché mai la cultura e la scuola devono
essere considerate sempre noiose? Perché una vita passata non
dev’essere ancora realmente “vitale”?
Questa mostra, tratteggiando l’identità
di un popolo con l’ausilio di scienze umane e il riscontro archeologico,
ci consente un approccio sistemico alla cultura di 2000 anni fa, al
cammino dell’umanità, fatto di civiltà e progresso.
Il successo è racchiuso in quei 400 pezzi che ci presentano
lo spaccato di una città di 20.000 abitanti prima della grande
morte attraverso gli strumenti del lavoro e della vita quotidiana.
Dopo Napoli, il Museo Archeologico farà conoscere alla gente
di Los Angeles, Tokio, Berlino, Madrid e poi ancora Parigi e Londra,
dalle macchine più complesse alle curiosità come gli
elementi di base del trucco quotidiano e cioè fondo tinta,
maschere di bellezza, ombretti, rossetti e dentifrici che le matrone
custodivano in eleganti bauletti di legni pregiati e decorati.
E nei primi due giorni, sopportando una lunga coda all’esterno
del Museo, in 3500 hanno varcato l’ingresso.
Questo avvenimento ci consente di riflettere su un
altro aspetto: l’infelice separazione fra la cultura umanistica
e quella scientifica che in Italia ha trovato alimento con il prevalere
della filosofia neo-idealista nella prima metà del secolo.
Questo ha portato, di conseguenza, a considerare un fatto scontato
che le discipline “umanistiche” siano sistemate largamente
nell’insegnamento e nell’organizzazione culturale secondo
un criterio storico, e che in quuelle “scientifiche” l’aspetto
storico sia praticamente ignorato (3). Non così nell’antichità,
quando c’era un sapere unico, legato all’osservazione
della natura, dei suoi cicli, delle risorse, dei modi migliori per
trasformarle in occasioni, sempre più seducenti, utili al benessere,
prima di pochi dominanti, successivamente dicerchie sempre più
larghe ma comunque sempre esigue se paragonate al tutto (4).
L’esposizione deve il suo successo alla collaborazione
della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta con la Soprintendenza
Archeologica di Pompei e il Museo di Storia della Scienza di Firenze.
Il progetto scientifico della mostra, sviluppato dalla Soprintendenza
Archeologica di Pompei, è il frutto di quattro anni di analisi
e studi condotti in collaborazione con 25 équipes internazionali
di ricercatori operanti in molti ambiti disciplinari ed appartenenti
ad Istituti italiani e stranieri: archeologi e fisici, storici della
scienza e chimici, ingegneri e astronomi, biologi e antropologi, geografi
e storici dell’agricoltura, zoologi e medici, idraulici ed urbanisti
hanno partecipato alla campagna di ricerche e hanno elaborato i dati
e le interpretazioni che ora vengono, attraverso l’esposizione,
presentati al pubblico. Modelli interattivi di macchine, ricostruzioni
virtuali e supporti audiovisivi sono stati progettati e realizzati
dal laboratorio Multimediale dell’Istituto e Museo di Storia
della Scienza di Firenze. La presentazione al pubblico dei risultati
delle ricerche condotte è lo scopo fondamentale dell’esposizione,
che mira a produrre un generale arricchimento delle conoscenze proprio
a partire dagli elementi che seguitano ad emergere da una delle più
importanti aree archeologiche del mondo.
Lungo il percorso espositivo postazioni telematiche
consentono al visitatore virtuale di attingere informazioni esaustive
in testo e con sonoro su tutti gli oggetti presentati, trasformando
il rapporto con la storia delle cose e degli uomini.
* Articolo correlato con quello sull'HOMO
FABER
1) Editoriale Alla ricerca del passato - Costruire la storia in
Il Corriere dell’Unesco, giugno 1990 p. 11.
2) Christian Amalvi: Fernand Braudel navigatore nel tempo e nello
spazio, in Il Corriere dell’Unesco, cit., pp. 16-17.
3) Francesco Speranza: Il ruolo della storia nella comprensione
dello sviluppo della scienza - in Cultura e Scuola 98, p. 201.
4) Pietro Giovanni Guzzo: Introduzione al Catalogo della Mostra,
1999, p. 7.
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