I Sanniti
di Carmine Negro
Ultime arrivate, dell'ondata di invasioni
indoeuropee, le popolazioni che si installeranno sulle montagne degli
Abruzzi e nell'aspra contrada sottostante vengono indicate col nome
generico di Sanniti, gente fiera e bellicosa appartenente al gruppo
di popolazioni italiche parlante osco. La loro derivazione dai Sabini
è incerta, ma probabilmente esisteva un collegamento tra i
due popoli.
La Campania era abitata, allora, da una popolazione modesta, ma intelligente
e operosa, che con significativa denominazione Greci e Latini chiamavano
Osci (Oscoi), ossia operai della Terra di lavoro. Essi avevano,
con grande cura e tenacia dissodato il terreno, su cui si erano installati,
vi avevano introdotto le colture migliori e più redditizie;
avevano innalzato le prime civili, sia pur modeste, cittadine dell'Italia
meridionale. Fino alla metà del V secolo, le civiltà
greca osca ed etrusca vissero pacificamente insieme, l'una verso la
costa, le altre due più all'interno, quasi completandosi a
vicenda sia nell'architettura e nella decorazione dei monumenti locali
che nella coniazione delle monete. Non di rado si poteva ammirare,
accanto alle modeste casupole osche, la sagoma delle grandiose e pesanti
costruzioni etrusche o gli atrii e i peristili ellenici e mescolati
insieme i bronzi oschi e greci, le terracotte multicolori o i profili
degli dei d'Omero nei meschini santuari di legno o nei nobili templi
dorici di pietra bianca. Ma, dalla seconda metà del secolo
V, i montanari del Molise, i Sanniti, erano discesi a turbare questa
mirabile fusione di tre civiltà e avevano strappato ad una
ad una le colonie interne più vicine al paese da cui erano
partiti e dopo averne assimilato la civiltà, avevano proseguito
verso Occidente incalzando da lontano le belle città greche
di Cuma e Capua.
I rapporti intrattenuti tra i Romani ed i Sanniti erano improntati
ad una benevola neutralità od amicizia, così quando
gran parte dell'Italia centrale si era rovesciata contro la nascente
Repubblica, la Confederazione sannitica non intervenne come non intervenne
nè durante la guerra di Veio, con la successiva conquista dell'Etruria
meridionale da parte di Roma, nè durante l'irruzione gallica
nella capitale. Il fatto è che i due Stati miravano ad obiettivi
completamente differenti: i Romani erano interessati al Lazio e all'Etruria
meridionale mentre i Sanniti volgevano le loro attenzioni verso la
Campania.
Quando i Sanniti partirono alla conquista delle città greche
della pianura formavano una federazione non rigidamente organizzata,
di cui facevano parte irpini, caudini, caraceni e pentri, quella che
prima abbiamo definito Confederazione sannita. Non avevano città
degne di questo nome, ma possenti fortezze dove gli abitanti del vicinato
potevano rifugiarsi coi loro greggi in caso di pericolo: le principali
di tali cittadelle erano Bovianum, Aufidena, Tereventum, Maleventum
e Caudium.
Dal 423 al 420 le città di Capua e Cuma furono conquistate
con la forza ma esse non rimasero fedeli ai conquistatori. Le città
sannitiche della pianura, con a capo l'etrusco-sannita Capua, divenute
rapidamente assai più colte e civili dei rozzi borghi del Sannio,
si erano sentite indipendenti ed in lotta con la loro "barbara"
madrepatria. La speranza di una possibile espansione in Campania,
la preoccupazione della crescente potenza sannitica, il timore dei
vicini Volsci ed Equi, le illusioni della plebe romana circa la ricchezza
del territorio osco furono alcune delle ragioni che portarono Roma
ad assumersi la protezione dei Campani e dei Sidicini ribelli con
la conseguente rottura dei rapporti con i Sanniti. Ne seguì
la prima guerra sannitica (343-341), un susseguirsi di vittorie e
disfatte, troncata improvvisamente con il rinnovo del trattato ed
il ritorno all'antica alleanza. I Romani abbandonavano ai Sanniti
il territorio dei Sidicini e ricevevano in cambio la promessa che
avrebbero rispettato la Campania. Ma il motivo in questo cambiamento
di rotta era da amputare alla riscossa delle città volsche
e soprattutto di quelle latine; approfittarono delle gravi difficoltà
in cui era impegnata la metropoli del Lazio durante la guerra sannitica
per allentare o sciogliere i legami con Roma. Le cittadine laziali
in effetti, preoccupate dei loro piccoli interessi locali erano poco
interessate ad assecondare la causa dell'espansionismo romano da cui
avevano ricavato, tra l'altro, ben poco. Ma la crisi che Roma voleva
prevenire con il trattato di pace con i Sanniti fece precipitare la
crisi. Con l'abbandono o il tradimento il partito romanofilo in Campania,
costituito dagli aristocratici del luogo, che nel 343 avevano voluto
l'alleanza, subì un forte tracollo. Gli aristocratici nella
città di Capua furono cacciati dal governo e dopo la rottura
dell'alleanza con i Romani di ci si mise a disposizione della Confederazione
laziale. I due grandi nemici, i Campani ed i Latini, costituirono
un grosso pericolo per Roma che facendo ricorso persino ai proletarii
riuscì a sconfiggerli a Trifano nel 340. Due anni dopo tutto
il Lazio era ai piedi di Roma che pensò di annettersi altresì
tutta una regione della Campania fino al Volturno. Dopo la guerra
vennero colonizzate Anzio (338), la più notevole delle città
volsche, Cales (Calvi,334) nel territorio dei Sidicini, Terracina
(329), Fregelle (328), in territorio volsco ma già raggiunta
dall'espansione sannita, che dominava il passaggio del Garigliano;
a Capua la riconquista del potere da parte degli aristocratici con
il relativo contributo per la vittoria di Roma portò quest'ultima
a concedere alla città la civitas sine suffragio. Una Campania
indipendente era tollerabile per i Sanniti, ma una Campania colonia
romana rappresentava per la Confederazione una situazione non sopportabile
e la colonizzazione di Fregelle equivaleva ad una occupazione del
territorio sannita. In più il patto che doveva portare i Sanniti
ad intervenire nella battaglia di Trifano contro i Latini al fianco
dei Romani non fu rispettato e i soccorsi giunsero quando le armi
romane già avevano deciso della disfatta nemica. I Sanniti
furono impegnati poi contro Alessandro il Molosso lo zio di Alessandro
Magno a cui non riuscì il tentativo di unificare l'Italia greca
e di formarvi il regno elleno-italico con la sconfitta di Pandosia
nella valle del Crati e la disastrosa ritirata del 330-331. L'impero
dei Sanniti era salvo ma Roma diventava di nuovo il pericolo principale
per la Confederazione. Nè Napoli, una delle colonie della vecchia
Cuma, nè i Sanniti assistevano di buon grado al minaccioso
avanzare di Roma in Campania che era giunta all'occupazione di Acerra
e Pozzuoli. Così quando i Romani cinsero d'assedio la città
partenopea i Sanniti fornirono 4000 mercenari per la difesa della
città. Malgrado l'occupazione, da parte delle truppe romane,
per meglio proteggere le operazioni di guerra, di Allife, Callife
e Rufrio, in pieno territorio sannitico, il Sannio non si decideva
ad entrare in guerra contro le milizie romane e a favore della città
amica costringendo quest'ultima alla resa. Napoli accolta la condizione
di congedare le milizie mercenarie e accogliere un presidio romano
ebbe delle condizioni eccellenti: rispetto dell'integrità del
suo territorio e piena autonomia comunale, salvo l'obbligo di un'alleanza
offensivo-difensiva. Intanto i Sanniti dopo la catastrofe della guerra
napoletana non potevano fare a meno di prepararsi ad un nuovo conflitto
con l'antico alleato. L'esercito romano forte di 35000 uomini (4 legioni)
attraverso una strada impervia, quella che 10 anni dopo sarebbe diventata
la via Appia, si mosse contro il popolo sannita. Ma, la scarsa conoscenza
dei luoghi, la incerta direzione del comando provocarono un grosso
disastro militare. Nella gola dell'antica Caudio, tra le attuali borgate
di Arpaia e di Arienzo, i Romani si trovarono accerchiati dai Sanniti
e costretti ad una umiliante sconfitta. Dopo varie battaglie: quella
di Luceria in Apulia, dove i Romani liberarono gli ostaggi catturati
alla forche caudine, quella di Lautule (non lontano da Fondi) dove
i Sanniti sbaragliarono le difese romane e quella di Terracina che
segnò la prima tappa della rivincita romana, si chiude la seconda
fase di questa guerra sannitica con la presenza di Roma ben salda
in alcune roccaforti sannite. Dal 304 al 299 Roma fonda colonie ai
fianchi e alle frontiere del Sannio concludendo amicizie con Lucani,
Marsi, Peligni, Marrucini, Vestini, Sabini e Piceni.
Dal 299 al 290 varie battaglie scandirono la lotta dei Sanniti con
i Romani ma alla fine la sorte del Sannio potè dirsi decisa.
Il trattato aveva ancora come clausola l'indipendenza della Confederazione
sannitica ma con l'accerchiamento d'ogni parte dei territori romani
e degli alleati dei Romani era condannata a perdere la propria indipendenza
e costretta ad un rapporto di alleanza. Il feroce spirito di indipendenza
dei Sanniti fu comunque lento a morire: al tempo della guerra sociale,
i Sanniti si schierarono in prima fila tra i rivoltosi (90-88) ma
fu l'occasione per il definitivo annientamento del Sannio come entità
nazionale.
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