Dal 14 dicembre al 14 febbraio
1992 grande mostra nel
Palazzo Reale di Caserta
I
disegni dei Vanvitelli
I Vanvitelli nell'esercizio del disegno
di Carmine Negro
Dopo un meticoloso intervento di restauro ed un accurato
lavoro di catalogazione sono stati esposti nei locali della Reggia
di Caserta e precisamente nelle retrostanze dell'Apparato Storico,
il lato setecentesco che ha l'accesso dal salone di Alessandro, i
disegni dei Vanvitelli conservati nella Biblioteca Palatina.
Il restauro ha liberato i disegni dai precedenti interventi, non sempre
opportuni, e reintegrato, là dove era possibile, le parti mancanti
per un recupero estetico e fruitivo delle opere.
Fu Gino Chierici nel 1933 a trasferire un cospicuo numero di disegni,
riunendolo al gruppo di progetti della Reggia, da Napoli a Caserta.
L'intenzione dell'allora Soprintendente era quella di poter dar vita
a un Museo Vanvitelliano nella sede più naturale: Palazzo Reale.
"Sfortunatamente quegli anni - scriveva nel 1980 Raffaello Causa
- erano poco favorevoli alle grandi iniziative culturali, così
questi materiali rimasero per lungo tempo nei cAssetti della Biblioteca
Palatina, in attesa di giorni migliori, che poi per Caserta non sono
mai venuti. E nulla lascia credere, ancora oggi, che per quel monumento
possano considerarsi imminenti...."
La mostra di Caserta, che segna un primo serio lavoro di sistemazione
e catalogazione del materiale conservato un po' alla rinfusa, anche
se non prefigura ancora l'apertura di quel Museo, va tuttavia in quel
senso (almeno ce l'auguriamo).
I disegni di Vanvitelli risultano dispersi in varie collezioni da
Roma a Monaco, a New York; le raccolte pubbliche di Napoli e Caserta
rappresentano, però, da sole l'80% della produzione grafica
finora conosciuta.
In particolare il fondo di Caserta è costituito da 402 fogli:
81 di Gaspar van Wittel, 260 di Luigi Vanvitelli, 21 del figlio Carlo,
18 da attribuire e 22 di artisti appartenenti a collaboratori stretti.
L'esposizione allestita dall'architetto Lucio Morrica, e che mostra
solo una parte del fondo, propone nelle prime 4 sale 25 disegni a
firma di gaspar van Wittel e 20 del nipote Carlo.
Attraverso una piccola sala contenente un ritratto ad olio ed una
piccola teca con una poesia autografa di Domenico Mondo, un pittore
che fu poeta, si raggiungono le sale dedicate a Luigi Vanvitelli.
"... Davanti al disegno - scrive Claudio Marinelli (catalogo
della mostra, pag. 11) - noi siamo ccome davanti all'artista sorpreso
nella sua nudità, nella sua intimità di pensiero, nei
suoi segreti modi di procedere con la creatività". E questa
mostra sembra svelarci tre artisti con personalità distinte
ed autorevoli.
gaspar van Wittel, come abbiamo avuto modo di sottolineare a proposito
della mostra "All'ombra del vesuvio" (vedi La Rassegna d'Ischia,
giugno 1990, pp. 27/28), è considerato unanimemente dalla critica
il fondatore della nuova concezione settecentesca della veduta. L'arrivo
a Roma nel 1674 è una tappa quasi scontata nell'ambito della
sua formazione artistica, condivisa a quel tempo da molti suoi connazionali.
A Roma, luogo delle Accademie, due scuole si affrontano: l'una che
punta sulla supremazia di un "paesaggio ideale" e l'altra
su una pittura di "paesaggio reale".
In particolare la colonia olandese penetra la cultura figurativa italiana
e affretta la crisi dell'ideale classico. Il procedimento compositivo
di van Wittel prende le mosse da schizzi tratti dal vero, rielaborati
in studio in disegni per lo più a matita e di dimensioni maggiori,
ripassati ad inchiostro e talvolta leggermente acquarellati, utilizzati
poi per i dipinti ad olio o ridotti con il sistema della quadrettatura
nel caso delle tempere o delle pergamene di formato minore. La ricorrente
orizzontalità delle vedute è una scelta precisa, rispondente
all'esigenza di offrire una panoramica di vasto respiro, una lucida
fedeltà da un punto di vista reale e ben determinato.
Il merito di van Wittel, oltre alla realizzazione dei disegni come
opere già finite, da vendere ad un prezzo molto più
basso degli olii, ai viaggiatori del "Grand Tour" che sempre
più numerosi vengono in Italia, luogo per eccellenza del mito,
della storia e del pittoresco, è l'aver condotto con un'attenzione
ed una sensibilità straordinaria una veduta "esatta",
topografica della realtà visiva fino ad allora sconosciuta.
E' documentato che nel 1700 viene tenuto a battesimo a Napoli dal
vicerè don Louis de la Cerda, duca di Medinacoeli, il piccolo
Luigi, primogenito del van Wittel (italianizzato poi in Vanvitelli)
ed autore del progetto della Reggia. Luigi vanvitelli è attraverso
il disegno che impara dal padre a percepire e ad analizzare il possesso
dello spazio. L'incontro con il messinese Juvarra influenza senza
dubbio la sua produzione in cui pittura, architettura e decorazione
sono un tutt'uno.
La mostra, sempre attraverso i disegni delle prime quattro sale, tenta
un recupero anche della figura del figlio di Luigi, Carlo, che nel
1773, alla morte del padre, subentra alla direzione dei lavori del
"Grande Palazzo". La sua formazione avviene a Roma sotto
la tutela dello zio Urbano e la guida dell'architetto Murena; nel
1756/.. raggiunge Caserta ed affianca il padre impegnato nell'elaborazione
progettuale della Reggia. A quanti l'hanno visto come incerto esecutore
dei progetti paterni questa mostra contrappone, oltre ad un ammirevole
coerenza per i riferimenti progettuali originali, scelte personali
e varianti intelligenti. E' nel Giardino Inglese, realizzato in un
periodo successivo, senza quindi le direttive del padre, che Carlo
dimostrerà la sua libertà creativa. Particolare la realizzazione
sia dei tracciati d'acqua che del criptoportico adiacente al Bagno
di Venere per il quale utilizzerà statue antiche provenienti
dalla collezione Farnese e dagli Scavi di Pompei.
L'incertezza di Carlo, se mai, è talvolta nella scelta tra
un tardo rococò ancora presente nella città di Napoli
e un moderno neoclassicismo del quale decisamente sente l'influenza.
Il segno nitido e pulito e la meticolosa definizione dello schema
compositivo caratterizza la sua produzione grafica. Tra i disegni
realizzati da Carlo il bozzettio per il Casino di caccia nell'isola
d'Ischia mostra il prospetto di un edificio con il pronao dorico,
con un padiglione interno sferico preceduto da un'ampia gradinata
definita a due braccia.
Le ultime sale della mostra sono dedicate al più
famoso dei Vanvitelli: Luigi.
Il disegno, in quel tempo, era l'unico modo per rappresentare l'idea
di un progetto e Luigi si servì di esso non solo per delimitare
gli spazi, ma anche per definirli in tutti i particolari fino alle
decorazioni ed agli oggetti che esso doveva contenere.
Scelse di diventare architetto, il più grande del secolo, ma
la sua sensibilità rimase quella di un pittore per cui lo spazio
architettonico e quello della pittura potevano identificarsi.
Dotato di una mano sicura e di una padronanza delle tecniche del disegno
ad inchiostro, egli passa attraverso successivi schizzi progettuali
all'idea definitiva in cui sono delineati tutti i particolari architettonici.
E la realizzazione dei modelli in legno, presentati nell'ultima sala,
sono una verifica del lavoro progettuale prima dell'esecuzione.
I 17 disegni della Reggia in cornici dorate sono riproposti in un
involucro a pianta quadrata rivestito di stoffa cremisi.
Molte delle idee del Vanvitelli non si poterono realizzare, come il
corso d'acqua che doveva riunire la Reggia di Caserta con Napoli o
la città amministrativa che si intravede nella tavbola XIV
e che nelle intenzioni di Carlo di Borbone doveva servire per decongestionare
la capitale già allora afflitta da problemi demografici.
Il Vanvitelli seppe modificare le proprie idee e da un primitivo progetto
colossale e maestoso passare ad una stesura più aderente alle
necessità ed alle possibilità della Corte.
Seppe, inoltre, felicemente sintetizzare nella sue opere l'antico
e il moderno, la tradizione data dal rococò e il rinnovamento
dato dal neoclassicismo. Lo studio delle decorazioni, il ritmo della
luce, il peregrinare tra immagine e volume, le soluzioni architettoniche,
talvolta ardite (è il caso del teatro di corte in cui lo spazio
scenico si apre in un unico continuum con lo spazio naturale del parco),
sono una testimonianza di uno spirito in continua ricerca e per questo
geniale.
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