di Carmine Negro
Un popolo lontano e quindi poco conosciuto
(Tito Livio)
Un guerriero rappresentato nell'ultimo istante di resistenza al dolore
reso in un atteggiamento di fierezza e alterigia rappresenta il primo
contatto del visitatore con il mondo dei Celti, chiamati anche Galli
o Galati. La disposizione della ferita in un punto mortale sottolinea
la inutilità della resistenza, mentre il corno spezzato denunzia
l'impossibilità di richiamare i compagni. Il Galato morente
dei Musei Capitolini, opera insigne per il livello descrittivo e simbolico,
attraverso la narrazione scultorea sembra concretizzare i racconti
degli storici: "neppure a quelli che erano feriti, ai quali rimaneva
il respiro, si calmava il furore... né coloro che erano feriti
dalle spade e dalle lance.... deponevano la rabbia finché restava
loro un momento di vita....."
All'inizio del IV secolo un forte esercito attraversò le Alpi,
conquistò l'Etruria padana e si spinse fino a Roma. La battaglia
dell'Allia (390 a. C. circa), un piccolo affluente del Tevere, a soli
16 km da Roma, segnò un giorno nefasto nella storia dell'Urbe.
Le sue milizie furono completamente disfatte e la sua salvezza si
deve ad un manipolo di giovani animosi che si chiusero nella fortezza
sul Campidoglio. Gli invasori dopo aver saccheggiato ed incendiato
la città, assediarono ripetutamente la rocca, ma gli assalti
vennero respinti uno dopo l'altro. L'imprendibilità della rocca,
l'esposizione al pericolo di essere attaccati alle spalle, la distruzione
della città che li aveva privati di ogni riparo contro i calori
dell'estate e la febbre malarica li indusse poi a togliere l'assedio
barattandolo con un mucchio d'oro.
La brutale invasione suscitò grande impressione nel mondo mediterraneo.
Plutarco riferisce quanto fu annotato dal filosofo Eraclito da Ponto:
"Giunse dall'Occidente la notizia che un'armata, venuta dagli
Iperborei, aveva conquistato una città greca chiamata Roma
che si trovava laggiù, vicino al Grande Mare".
In modo simile, un secolo più tardi, un'armata celtica penetrò
fino alle porte del santuario di Delfi in Grecia. Le fonti dicono
che il santuario fu salvato all'ultimo momento dall'intervento di
Apollo, ma l'idea del saccheggio profanatore rimase uno dei luoghi
comuni dell'antichità.
Un'altra ondata migratoria si spinse in Asia Minore, invase l'Anatolia
e si stabilì su un altopiano che da allora prenderà
il nome di Galazia.
"Fu così che dopo i Giganti mitologici, le Amazzoni delle
steppe e i Persiani, i Celti divennero il simbolo della barbarie violenta
e disordinata, la minaccia del mondo civilizzato, quello delle città
mediterranee. Sconfitti come quei predecessori, si ritrovarono al
loro fianco nei monumenti eretti dai sovrani vittoriosi di Pergamo
all'inizio del II sec. a. C.; e la "galatomachia", il combattimento
contro i guerrieri gallici, fece a quell'epoca la sua comparsa sui
sarcofaghi etruschi, insieme agli altri temi simboleggianti la vittoria
degli uomini, appoggiati dagli dei, sulle forze tenebrose e incontrollate
della natura" (1).
Quest'immagine dei Celti, se riuscì a giustificare l'appropriazione
dei territori da parte dei Romani, segnò duramente gli studi
su questa civiltà, condizionando per quasi due millenni intere
generazioni di studiosi. E in più le tracce di abitati, le
sepolture, i luoghi di culto sembravano dar ragione alle testimonianze
degli antichi, specie se paragonati ai monumenti lasciati dai Greci
e dai Romani. L'originalità formale attribuita ad alcune opere
veniva considerata più come incapacità di riprodurre
modelli che come significativa forma d'arte. Le scoperte archeologiche
hanno messo in nuova luce questa civiltà che appare oggi sotto
molti aspetti originale e ricca.